Ultimo numero: 61/Decarbonizing the hard-to-abate sectors
Il fallimento delle previsionidi Roberto Di Giovan Paolo 
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Scenari

Il fallimento delle previsioni

di Roberto Di Giovan Paolo 

Non sempre le cose sono andate come ci saremmo aspettati. Spesso segnali non colti si sono rivelati determinanti per mischiare le carte in tavola e ribaltare gli scenari attesi. Una rassegna di paesi e organizzazioni che hanno smentito i pronostici degli analisti

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ai come nel 2022 ci siamo trovati di fronte a scenari geopolitici ed economici inaspettati (dalla guerra all’inflazione per citarne solo un paio). Mentre puntiamo i riflettori sui paesi interessanti per il prossimo futuro, forse vale la pena interrogarsi sulle previsioni fin qui venute meno o su quelle rivelatesi fragili o poco strutturate. Questa piccola rassegna di organizzazioni e Paesi il cui destino ha preso strade diverse da quelle anticipate dagli analisti non è certo esaustiva, ma costituisce un monito ad ognuno di noi: la realtà non sempre è quella che ci saremmo aspettati.

 

 

I Brics sulle montagne russe

Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, i cosiddetti Brics, che, secondo l’analista che ha coniato l’acronimo, avrebbero verosimilmente dominato l’economia mondiale del XXI secolo, hanno vissuto alti e bassi legati anche alle politiche dei propri governanti. Il Brasile, da Lula a Lula, ha vissuto una “diminutio” con Dilma Roussef e poi un intermezzo “nazionalista” con Bolsonaro, che lo ha fatto ritrarre dal palcoscenico mondiale a cominciare dalla edizione della Cop25 che avrebbe dovuto svolgersi in Brasile e fu invece dirottata a Madrid. La Russia sappiamo in che ambasce si trova oggi, e non è però dalla guerra in Ucraina che stenta a reggere il confronto economico mondiale con Cina e Stati Uniti. Il Sudafrica ancora non si è ripreso dal dopo Mandela fatto di scandali e ripicche nell’African National Congress. Solo India e Cina hanno risposto davvero alle aspettative positive, almeno in termini quantitativi. La Cina costituendo un impero che è un ircocervo di capitalismo socialista, che contende agli Stati Uniti d’America la palma delle tecnologie innovative. L’India è stato il paese più continuo, nella sua crescita economica e nell’innovazione tecnologica, costituendo, con una dirigenza politica consolidata e confermata nel voto, anche un punto di riferimento internazionale sulle grandi questioni del verde e dell’energia. La posizione del subcontinente, che ha chiesto durante le ultime Cop politiche di contrasto al cambiamento climatico che tengano conto delle diverse condizioni di sviluppo dei paesi, ha accresciuto le chances dell’India di farsi portatrice delle istanze dei paesi meno sviluppati.

 

L’Opec torna in corsa

Proprio in qualche numero fa di questo giornale, avevamo analizzato l’ascesa e la caduta di ruolo dell’organizzazione che negli anni Settanta del Novecento era diventata un riferimento non solo per i paesi in via di sviluppo dotati di risorse del sottosuolo, ma anche la bandiera di un confronto economico che “risarcisse”, per certi versi, le economie colonizzate con una nuova e splendente fioritura, economica ma anche culturale. La svolta verde e neo-energetica dell’Unione Europea e dei paesi occidentali, oltre che i contrasti interni e le vicissitudini sia di alcuni paesi Arabi sia del Venezuela, avevano affievolito il ruolo e la voce “politica” dell’organismo. Ora è chiaro che il post-pandemia e la guerra che condiziona mercati energetici e alimentari globali hanno di nuovo portato in auge chi produce mezzi per garantire energia agli obbligati spettatori della vicenda Ucraina-Russia.

 

Gran Bretagna, up and down con la Brexit

Tra i “grandi” paesi è certamente quello che negli anni scorsi ha vissuto davvero cambiamenti epocali e non si è fatto mancare niente. Dagli anni della “cool Britannia” di Blair e del Britpop passando per il Romanzo Nazionale dei Windsor, che ha avuto un “finale di stagione” 2022 inaspettato: l’ascesa al soglio regale di Carlo. Nel frattempo mentre la Brexit  prometteva il ritorno ai fasti imperiali, la premiership è passata da Theresa May a Johnson, punta di lancia della Brexit stessa, e poi a Liz Truss per circa un mese… facendo provare anche ai freddi britannici la calda “sindrome politica all’italiana” per poi planare sul primo premier di origine non isolana, ovvero Rishi Sunak, il quale da giovane conservatore deve gestire gli effetti non proprio commendevoli della Brexit dal punto di vista economico, e sondaggi che danno i Laburisti moderati del nuovo leader, Keir Starmer, in netta ascesa. Anche qui, con la Brexit dalle stelle alle stalle è un attimo.

 

Etiopia, un racconto d’Africa

L’Etiopia nel 2019 sembrava vivere una nuova età dell’oro: un primo ministro giovane e rispettato, Abiy Ahmed Ali, sigla un trattato di pace con l’Eritrea dopo decenni di guerra e per questo viene insignito del premio Nobel per la pace. Poi, a sorpresa, nel novembre 2020 riparte lo scontro nel Tigrè e in poco tempo economia e reputazione vengono meno: seguono accuse di militarismo ed egemonia culturale, primi casi di corruzione tra i suoi seguaci, accuse di uccisione di oppositori, e guerra che fa più morti civili che militari (una consuetudine delle guerre moderne ed una tragica abitudine in Africa). Non è l’unico posto nel Continente ovviamente; l’Unicef poco prima di Natale 2022 ha segnalato tra i massimi punti di frizione politica e militare e luoghi di tragico conflitto il Sud Sudan, il Congo, il Burkina Faso e il Kenya. Accanto alle storie di piccola e media imprenditoria e di crescita, purtroppo l’Africa è un’altra delle aree del mondo dove le previsioni economiche, politiche e sociali si rivelano spesso errate.

 

Iran e Afganistan, prevale il fondamentalismo 

Guardando verso est le aspettative positive di qualche anno fa sull’evoluzione dell’Iran e ancor più dell’Afganistan sembrano aver preso il segno del rimpianto. Con la terribile vicenda di Mahsa Amini, che ha perduto la vita per via di un pestaggio di guardie rivoluzionarie e servizi di polizia addetti al buon costume islamico, l’Iran è ripiombato nella lotta per le strade e nella violenza con tribunali speciali e condanne a morte a giovani e giovanissimi.

 

la fotoLe speranze di appena qualche anno fa di una progressiva democratizzazione dell’Iran sono andate deluse. In foto, la torre Azadi a Teheran 

 

In Afganistan, con l’addio delle truppe Usa, decisione fra le prime di Biden molto contestata, e la conseguente ri-presa del potere di forze fedeli al vecchio regime talebano, la “primavera” democratica è terminata anzitempo. Una pagina di storia recente su cui l’Occidente dovrebbe meditare.

 

Sudamerica, l’eterno ritorno...

Non solo Lula, tornato alla presidenza del Brasile. In Sudamerica il tema dell’eterno ritorno sembra accompagnare le vicende di molti paesi. Si proclama la rivoluzione Bolivariana, si subisce un golpe militare; si delude i propri elettori e si tenta di allungare il mandato; oppure si tenta di proseguire il mandato ma la gente va in piazza coi “cacerolazos” (le pentole da far risuonare). In Cile, il giovane presidente Boric, dopo una vittoria clamorosa alle elezioni, ha fallito la prova del referendum sulla riforma costituzionale ed ora dovrà fare i conti con le mediazioni politiche; il Perù ha cacciato Pedro Castillo, dopo che il presidente ha cercato di sciogliere il Parlamento, ed ora è tutto in piazza anche contro la vicepresidente provvisoria Dina Boluarte, che non riesce a tornare alla normalità della democrazia. Il caos per ora regna sovrano. E poi come sempre c’è l’Argentina, con una vicepresidente, Cristina Kirchner, già “first lady” e presidente, a processo per corruzione e scampata ad un attentato; e un presidente in carica, Fernandez, che si ricandiderà ma potrebbe non avere più una maggioranza. Un paese delle meraviglie e delle previsioni più rosee e più fosche allo stesso tempo: con l’unica classe media del Sudamerica, ma anche con una inflazione al 64 percento su base annua nel 2022. Con risorse naturali che la rendono quasi autonoma, ma sempre ai ferri corti con il Fondo monetario internazionale (in discussione ora una ristrutturazione di un debito di circa 45 miliardi di dollari), qualunque sia il suo regime democratico ed il colore di chi la governa. Un vero rebus, da sconsigliare seriamente a chi non vuol sbagliare le previsioni.